Oggi ti presento Samanta expat in Germania e autrice del blog Hopeless Wanderer. Samanta viaggia da quando è bambina e non ha mai smesso; oggi ci racconta com’è vivere in Germania! Scopriamo la sua vita e le passioni che porta con sé in giro per il mondo.
Trovi tante interviste degli italiani emigrati all’estero, come quella di Anna che vive in Australia orami da anni, nella nostra rubrica “storie di vita on the road”.
Cosa troverai in questo articolo
Expat in Germania: la storia di Samanta
Ciao Samanta raccontaci in breve chi sei, per farti conoscere dai nostri lettori
Buongiorno ai lettori di “50 sfumature di viaggio”! Mi chiamo Samanta, ho 30 anni e vivo in Germania. Dopo aver lasciato la mia amata Turingia per un anno sabbatico trascorso tra Spagna e Portogallo, sono ritornata in terra tedesca.
Al momento, infatti, vivo a Remagen in Renania Palatinato. Mi sono trasferita a luglio e, da allora, lavoro in un rifugio gestito dalla Lega per la Protezione degli Animali.
Dopo anni passati ad occuparmi di letteratura tedesca e germanistica, insomma, ho seguito il cuore e mi sono rimessa in gioco. Nemmeno a dirlo, ne è proprio valsa la pena.
Da che regione Italiana vieni?
Sono nata a Mondovì, una piccola cittadina del cuneese. La mia famiglia risiede tutt’ora in Piemonte.
Come andavano le cose in Italia prima di partire?
Erano stagnanti: prospettive di lavoro incerte, dubbi riguardo al futuro e tanta tanta insicurezza. Per superare questa fase di immobilità, quindi, nel 2013 decisi di muovermi io. Come si suol dire: a mali estremi, estremi rimedi.
Cosa ti ha spinto a partire?
A spingermi a partire sono state un sacco di piccole ma, anche di grandi cose. Il senso di non-appartenenza, la mancanza di stimoli esterni, la voglia di mettermi alla prova.
Non riuscivo a conformarmi alla realtà e al quotidiano che mi circondavano quindi, dopo qualche riflessione, ho deciso di mettermi alla ricerca di una nuova realtà in grado, con un po’ di fortuna, di darmi qualche soddisfazione.
Come sei approdata in Germania?
Ho trascorso un semestre in Saarland, grazie ad una borsa di studio Erasmus nella primavera del 2013. Come spesso accade, solo una volta tornata in Italia mi sono resa conto dell’enorme impatto emotivo e formativo di questa mia esperienza. Tutto, ma proprio tutto, mi sembrava grigio e non c’era nulla che mi suscitasse anche solo un briciolo di entusiasmo.
Insomma: urgeva una soluzione, altrimenti avrei perso il senno. Nemmeno due mesi dopo, armata di due valigioni, avrei preso il treno che mi avrebbe riportata in quel Paese complesso e multiforme che, tutt’ora, ho la fortuna di chiamare casa: la Germania.
Quando hai lasciato l’Italia avevi già un lavoro o sei partita all’avanscoperta?
Sono partita con l’intenzione innanzitutto di concentrarmi sulla redazione della mia tesi di Laurea Magistrale: per un paio di mesi mi sono limitata a ricercare, leggere e scrivere.
Una volta mandata la tesi in stampa ho iniziato a inviare curricula e, in poco tempo, ho iniziato a insegnare italiano per adulti. È stato il mio primo incarico e, poco a poco, ne ho aggiunti altri sino a costruirmi un quotidiano fatto di insegnamento e lavoro nel settore del turismo.
Come ti sei organizzata? Conoscevi qualcuno? Raccontaci il pre-partenza e come ti sei mossa appena arrivata.
Due conoscenti si erano trasferiti pochi mesi prima ma, oltre al loro supporto morale, ho preferito cavarmela da sola.
La prima cosa che ho fatto è stata, ovviamente, studiare almeno un poco la planimetria della città. In questo modo sono riuscita a trovare una stanza in affitto che ben si sposasse con le mie necessità e che non mi obbligasse ad un abbonamento ai mezzi pubblici.
Una volta ottenuta la conferma, ho iniziato a impacchettare le mie cose e ho dato le dimissioni a lavoro nei tempi prestabiliti dal Contratto Collettivo. Una volta sistemato anche questo, ho salutato animali domestici e amici e sono partita
Non appena arrivata, ho registrato la residenza (in Germania occorre farlo entro le prime due settimane dal proprio arrivo) e mi sono messa alla ricerca di un’assicurazione sanitaria conveniente e in linea con i miei bisogni.
Piano piano, poi, ho preso dimestichezza con l’ufficio tasse e rimborsi e ho cercato di immergermi nella realtà lavorativa di una cittadina piccola ma piena di vita.
Parlavi la lingua? Come hai fatto senza aiuti?
Sì, prima di partire parlavo già un buon tedesco: in questo modo, acquisire dimestichezza con il mondo del lavoro e integrarmi è stato decisamente più semplice e immediato.
So che ci sono tante persone che decidono di partire nonostante le proprie lacune in termini di lingua del paese di adozione ma non era, fortunatamente, il mio caso. Probabilmente, non sarei nemmeno partita se non avessi avuto le conoscenze linguistiche necessarie a sopravvivere.
Cosa hai fatto nei primi mesi per integrarti?
Integrarsi non è facile, me ne rendo conto. Ciononostante ci sono tante piccole cose che possiamo fare per sviluppare almeno un briciolo di senso di appartenenza. Dalle chiacchiere frivole con il panettiere alle fiere di paese, ci sono occasioni quasi quotidiane di socializzazione.
Io, introversa per natura, cerco attività e momenti di svago che si adattino alle mie passioni: concerti, musei e trekking sono un buon modo per uscire dal proprio guscio.
Come hai cercato di far diventare una nuova nazione la tua casa? Raccontaci qualche piccolo gesto di ogni giorno, che ha costruito la tua vita …
Ho sviluppato una routine fatta di piccole cose: passeggiate nei boschi, pomeriggi trascorsi scattando fotografie, caffè con conoscenti, domeniche ai fornelli.
Per farla breve, ho costruito una dimensione fatta di tutte quelle cose che, a dispetto di dove mi trovi, mi facevano stare bene. In questo modo innamorarmi della cittadina che scelsi come meta del mio trasloco non è stato per nulla difficile.
Dopo quanto tempo non ti sei più sentita un’ospite?
Non credo di essermi mai sentita un’ospite, ad essere onesta. A volte, però, mi sono sentita diversa, lo ammetto. Soprattutto in seguito alle continue manifestazioni dell’AfD (un partito di stampo nazionalista) è stato inevitabile non sentirsi chiamati in causa ogni volta che viene utilizzato il termine “straniero”.
Le implicazioni sociali di un termine spesso usato senza malizia alcuna sono molteplici e sono complesse e chi ci sta di fronte, a volte, nemmeno se ne rende conto. Affrontare questo genere di ostacoli fa parte della mia vita all’estero, ormai, e per superarli non ho altra scelta se non quella di educare il prossimo.
Hai avuto paura prima di partire? Non esserci e lasciare quello che ti era familiare è stata dura?
Ho avuto paura solo dopo essere arrivata. All’inizio, complice l’adrenalina, ci sentiamo tutti almeno un poco invincibili. Una volta trascorse le prime settimane ho iniziato a provare almeno un poco di incertezza.
Ho messo in dubbio le mie scelte ma, complice la mia innegabile quanto innata testardaggine, ho continuato a mettermi alla prova. Ho pianificato piccoli e grandi passi e, sei anni dopo, sono ancora qui.
Cosa ti piace del luogo in cui vivi?
Un aspetto della Germania che ho apprezzato sin da subito è il modo di vivere la quotidianità. È più lento, più a misura d’uomo e concepito in modo tale che ognuno ha almeno un poco di tempo da dedicare a se stesso. Adoro il fatto tutti i negozi e supermercati siano chiusi la domenica, ad esempio.
Inoltre l’efficienza di un sistema incredibilmente complesso e spesso multiforme permette a molti di raggiungere obiettivi altrimenti ritenuti impossibili. Per me, volendo, la Germania è stato il paese delle seconde possibilità e, nonostante la sua complessità spesso infuriante, non posso non apprezzarne anche i dettagli più insignificanti.
C’è qualcosa che non riesci proprio a capire della cultura in cui vivi? Che stona per te?
No, non credo. Persino le usanze più strane, in qualche modo, mi fanno sorridere.
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Cosa fai adesso e quali sono i tuoi sogni per il futuro?
Lavoro al rifugio e cerco di ritagliarmi un poco di tempo per continuare a studiare, informarmi, ampliare le mie conoscenze nel campo. Per quanto riguarda il futuro vorrei crescere, crescere e crescere in modo da poter offrire un sostegno tangibile e più competente alla Lega per la Protezione degli Animali.
Partecipare a missioni di salvataggio e collaborare attivamente con fondazioni all’estero sono due degli obiettivi che mi sono, ad esempio, prefissata.
Un tuo suggerimento mirato a chi sta valutando l’idea di trasferirsi all’estero: cosa serve assolutamente per decidere di partire?
Pianificate, pianificate e pianificate. Non si tratta solamente di pianificare le proprie mosse e avere una visione chiara del proprio futuro, sapete? Occorre avere le idee estremamente chiare anche in merito a questioni quali budget, spese e costo della vita. Partire all’avventura senza sapere quanto vi costerà è un buon modo per mettersi il bastone tra le ruote da soli.
Da expat in Germania, torneresti mai in Italia?
Non credo. Ci ho pensato concretamente un paio di volte ma, una volta fatto un elenco di pro e contro, ho lasciato perdere. Ci sono aspetti dell’Italia ai quali, a volte, penso: il mercato dei contadini, le scampagnate in collina, la festa dell’uva ad esempio.
Con il passare del tempo, però, mi sono resa conto che si tratti di istanti legati ai miei ricordi e che, ormai, non fanno più parte di un quotidiano comune. Ritornare per cercare di rivivere queste emozioni significherebbe rincorrere una chimera e, vista la felicità e la stabilità che ho raggiunto qui, non ne vale proprio la pena.
Ognuno ha la sua storia e nessuno può indossare le scarpe di un’altra persona e non possiamo giudicare le scelte altri! Non dimenticarlo.
NB. Tutte e foto sono di Samanta