Oggi ti presento Giovy expat in Svizzera e autrice del blog Emotion Recollected in Tranquillity una blogger professionista, che parla ben quattro lingue straniere e adora i Clash! Abbiamo in comune la passione per la Gran Bretagna e le isole ed è così che ho iniziato a leggere il suo blog.
Giovy ha vissuto per ben otto anni all’estero e oggi ci racconta com’è vivere in Svizzera e un pezzetto della sua storia di vita.
Tanti italiani nel mondo, scopriremo le loro storie con questa rubrica dedicata alle “storie di vita on the road”. Se hai perso i primi articoli, puoi iniziare dalla magica Australia di Anna!
Ciao Giovy raccontaci in breve chi sei, per farti conoscere dai nostri lettori
Mi chiamo Giovanna e tutti mi chiamano Giovy. Ho 41 anni e sono una web marketing strategist freelance e, ovviamente, blogger professionista. Mi occupo quotidianamente di creare testi per i miei clienti e per il mio blog, oltre a fare analisi sulla presenza online di attività varie che si affidano a me.
Da che regione Italiana vieni?
Sono nata e cresciuta nell’Alto Vicentino, in Veneto. Ho vissuto là per 22 anni e poi ho iniziato a “peregrinare”: prima in Svizzera per 8 anni e poi, dal 2008, sono tornata in Italia e vivo in Emilia.
Come andavano le cose in Italia prima di partire?
Direi benissimo: avevo il mio bel lavoro da dipendente per una grande azienda italiana nel campo della moda. Nel frattempo, stavo finendo la tesi e vivevo tranquilla.
Cosa ti ha spinto a partire?
La spinta è arrivata da un’opportunità di lavoro: l’azienda per cui lavoravo stava aprendo una sede in Svizzera e mi venne chiesto di partecipare alla fase di apertura. Sinceramente mi sembrava (e lo è stata) un’ottima occasione e l’ho colta al volo.

Come sei approdata in Svizzera?
Il trasferimento lavorativo mi ha portata dritta in Canton Ticino. Immaginavo di approdare in un pezzo d’Italia “un po’ diverso” ma, in realtà, la Svizzera Italiana è davvero molto diversa da come la si pensa. Si parla italiano senza problemi ma il modo di pensare è totalmente internazionale. Al lavoro parlavo di più in altre lingue che in italiano e la cosa mi rendeva felice.
Quando hai lasciato l’Italia avevi già un lavoro o sei partita all’avanscoperta?
Come ti dicevo, è stata proprio l’azienda per la quale lavoravo al tempo a darmi il “via” per andare in Svizzera. Generalmente, in una nazione come la Confederazione Elvetica, conviene sempre arrivare con un lavoro in tasca. Soprattutto ora che la crisi si fa sentire un po’ anche lì.
Come ti sei organizzata? Conoscevi qualcuno? Raccontaci il pre-partenza e come ti sei mossa appena arrivata.
Conoscevo pochissime persone e sono partita con una mia collega che, fatalità del caso, era ed è anche una delle mie più grandi amiche d’infanzia. Siamo arrivate su e abbiamo passato le prime settimane in un residence, per poi trovare casa, arredarla e cominciare a vivere assieme.
Parlavi la lingua? Come hai fatto senza aiuti?
In Canton Ticino si parla italiano ma l’ambiente di lavoro svizzero, in generale, richiede almeno due delle lingue nazionali (tedesco, francese o romancio). Se le si sanno tutte, ancora meglio. L’unica che non parlavo, ma che col tempo ho iniziato a capire, era il romancio. Questa lingua mi incuriosisce ancora molto.

Cosa hai fatto nei primi mesi per integrarti?
All’inizio è stato tutto una scoperta: è interessante capire come funziona la normale vita di chi vive in Svizzera. Gli orari dei negozi, per esempio, sono diversi dai nostri: molti esercizi chiudono alle 18.30 e al sabato alle 16.30. Ma, in compenso, il giovedì tutto restava aperto fino alle 21.
Ho cominciato ad abituarmi presto al fatto che là tutto funziona alla grande: vai in ufficio pubblico e te la cavi in 15 minuti; se un negozio scrive di aprire alle 8, alle 7.58 è già tutto pronto affinché i clienti entrino; vai dal dottore e riesci a prenotare una visita specialistica per il giorno dopo.
Per contro, ci sono delle cose che sono proprio fuori dal pensiero italiano. Mi riferisco al fatto che, in Svizzera, lo stipendio viene pagato quasi lordo (a seconda dei tipi di permesso di lavoro). Il che significa che occorre che sia il lavoratore stesso a mettersi da parte i soldi delle tasse o tutto ciò che, in Italia, è compreso e in Svizzera non lo è.
Ora che ho partita iva mi sembra tutto normale ma, al tempo, il solo pensiero di dovermi pagare un’assicurazione sanitaria privata mi faceva dire “perché?”.
Come hai cercato di far diventare una nuova nazione la tua casa? Raccontaci qualche piccolo gesto di ogni giorno, che ha costruito la tua vita …
Sembrerà banale ma ho iniziato fin dai primi mesi a guardare il telegiornale svizzero e non quello italiano. Molti dei nostri canali nazionali si prendono in Svizzera ma cercavo sempre di lasciare spazio all’informazione svizzera.
Inoltre, leggevo sempre il giornale locale: mi sembrava un modo per entrare più a contatto con la realtà in cui mi trovavo. Certo, i primi tempi mi sono sentita un’estranea ma poi mi sono piano piano abituata.
Dopo quanto tempo non ti sei più sentita un’ospite?
Credo dopo sei mesi: è stato il momento in cui ho smesso anche di tornare in Italia spesso. Era arrivata l’estate e volevo vivere il meglio che la Svizzera mi offriva: organizzavo giornate al lago con le amiche che, nel frattempo, iniziavo ad avere. Inoltre mi ero comprata la Lonely Planet della Svizzera e iniziavo a sfruttare i weekend per conoscere gli altri cantoni.
Hai avuto paura prima di partire? Non esserci e lasciare quello che ti era familiare è stata dura?
Assolutamente no. La mia famiglia – ne ho parlato anche sul blog – è un po’ particolare perché il supportarci come “individui” e non come “gruppo famigliare unito” è sempre stato il nostro modo di volerci bene .
Io avevo 22 anni al tempo ed era il momento giusto per fare un’esperienza così. Ero uscita di casa da un mese e mia madre, tanto per dire, aveva già rivoluzionato la stanza che era stata la mia camera. Felice lei, felice io e felici tutti.

Cosa ti piaceva del luogo in cui vivevi?
Amavo il fatto di aver “conquistato un lago”. Dicevo sempre così.
Io ho sempre vissuto a ridosso delle montagne e l’ambiente in cui vivevo in Canton Ticino era simile a quello che conoscevo.
Fatta eccezione per il lago: la zona di Lugano mi ha proprio regalato tanta acqua nella quale nuotare d’estate e ammirare nelle altre stagioni. Adoravo questa cosa. Inoltre, ero felice di essere vicina al Canton Grigioni, la zona in cui è ambientato il romanzo di Heidi.
C’è qualcosa che non riesci proprio a capire della cultura in cui vivevi? Che stona per te?
Direi nulla: la Svizzera è un paese molto bello e anche accogliente. Basta saper stare alle regole e lavorare alla grande. La Svizzera insegna proprio come darsi da fare e io non smetterò mai di ringraziarla per questo.
L’ambiente di lavoro, in generale, è molto competitivo e non permette di adagiarsi. Quello che ho imparato in quegli anni mi è ora utilissimo nella mia quotidianità di freelance.
Cosa fai adesso e quali sono i tuoi sogni per il futuro?
Ora vivo a Carpi, in Emilia, da circa 12 anni e credo sia ormai arrivato il momento di rimettere piede in un altro luogo o, addirittura, tornare a iscriversi al’AIRE (l’anagrafe degli italiani all’estero). Chi lo sa…
Un tuo suggerimento mirato a chi sta valutando l’idea di trasferirsi all’estero: cosa serve assolutamente per decidere di partire?
La Svizzera è forte, competitiva, ti aiuterà a crescere professionalmente: più le darai in termini di impegno, più lei ti restituirà.

Torneresti mai in Italia?
Sono tornata, sono qui da 12 anni e ora sto pensando davvero al fatto di tornare all’estero. Come dicevo prima: chi lo sa. Magari potrei andare a Tenerife, visto che mio padre ora vive là.
Ognuno ha la sua storia e nessuno può indossare le scarpe di un’altra persona e non possiamo giudicare le scelte altri! Non dimenticarlo.
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Tutte le foto di questo articolo sono di Giovy.