Vicino alla Gola del Furlo, si nasconde un piccolo gioiello marchigiano da non perdere: l’Abbazia di San Vincenzo al Furlo o di Pietra Pertusa. Quello che vediamo oggi, è ciò che resta di un’antica Abbazia del VIII secolo, costruita nel periodo di massimo splendore dell’esperienza benedettina.
Un luogo di bellezza e silenzio, meta di molti pellegrini nel corso degli anni. L’Abbazia sorge sulla riva sinistra del fiume Candigliano, nell’area di Pitinum Mergens, una città romana andata distrutta e venne eretta sui resti di un tempio pagano, che prosperò grazie alle offerte dei viandanti di passaggio.
L’Abbazia assunse la stessa funzione esercitata dal tempio, cioè quella di riscuotere le offerte fatte a Dio per essere usciti indenni dell’attraversamento del Furlo.
Fin dai primi secoli dell’era cristiana, questa gola era famosa per i ladri e i briganti che si nascondevano qui e spogliavano i passanti di ogni loro avere. Per questo motivo sembra che fin dal III secolo d.C., l’Imperatore Marco Giulio Filippo, mise un presidio di 20 soldati a protezione dei viandanti.
Il più antico documento che menziona l’abbazia risale al secolo XI e prababilmente in questo periodo la chiesa era a tre navate ma, nel corso degli anni è diventata a navata unica.
A destra della chiesa si sviluppava il monastero, con il chiostro prospiciente la navata destra. Hanno realizzato tutto il complesso abbaziale con pietra corniola proveniente dalle cave locali; per la pavimentazione della chiesa usarono grandi lastroni di pietra di origine romana e paleocristiana.

Accenni storici
La data di fondazione dell’Abbazio di San Vincenzo al Furlo è incerta: alcuni resti di fortificazione fanno pensare che risalga al VI secolo ma, altri elementi ne sposterebbero la data intorno al X secolo. Secondo una leggenda dal VI al XVII secolo avrebbe custodito le reliquie di San Vincenzo, vescovo di Bevagna, trasportate qui dagli abitanti della città umbra, distrutta dai Longobardi.
Deodorico, vescovo di Metz, approfittando delle difficoltà economiche del cenobio, pagando una ingente somma, riuscì ad ottenere le reliquie del Santo che portò in Francia; molti secoli più tardi andarono perdute durante la Rivoluzione francese.
Forse fu anche grazie alla somma ottenuta che l’abbazia rifiorì così tanto che nel corso del 1000 raggiunse l’apice del suo splendore. Fu il questo periodo che arrivarono San Romualdo e poi San Pier Damiani che qui scrisse la “Vita Beati Romualdi” nel 1042-43.
Nel 1011 quando arrivò San Romualdo che aveva più di 100 anni, eresse il monastero di Petra Pertusa e riuscì a riportare i monaci a costumi più morigerati. Egli convinse i più bisognosi di penitenza a ritirarsi e costruirsi delle celle dentro la Gola del Furlo, nutrendosi solo di acqua, pane ed erbe.
Nel contempo fece costruire il piccolo eremo di San Ubaldo, che aveva il compito di proteggere i viandanti dai briganti e altri pericoli. L’Abbazia divenne sempre più ricca e potente, grazie alle offerte e il tempio divenne maestoso.
Nel 1040 San Pier Damiani divenne abate di Petra Pertusa. In quel periodo il Monastero era spesso oggetto di saccheggi da parte di orde di delinquenti ma l’arrivo di Pier Damiani, coincise con un momento di maggiore calma. I monaci ricominciarono a indossare l’abito bianco e l’Abbazia tornò ad essere un luogo di pace e serenità.

La ricostruzione
Nel 1264 i Cagliesi distrussero il cenobio e il monastero, gravemente danneggiato, fu riedificato nel 1217 come si legge nell’iscrizione sull’architrave romano che si trova sulla porta d’ingresso.
“A.D. MCCLXXI ECCLESIA VACANTE ET IMPERIO NULLO, EXISTENTE. BONAVENTURA ABB(ba)S S. VINCENTII. H(oc) OPUS FIERI FECIT“. L’iscrizione ricorda anche che la ricostruzione avvenne per volontà dell’abate Bonaventura quando la sede pontificia era vacante ed anche il trono imperiale.
Durante lo scisma d’Occidente, l’Abbazia si schierò con il Papa e il vescovo di Urbino si scagliò contro i monaci e l’abate, costringendo tutti ad abbandonare il monastero e rifugiarsi nel monastero benedettino di Castel Durante (oggi Urbania).
Nel 1439 con Papa Eugenio IV, inizia la decadenza dell’abbazia di San Vincenzo al Furlo; il Papa, incarica l’abate di Gaifa di incorporare l’abbazia e tutto il patrimonio ad essa annesso alla Mensa capitolare di Urbino.
Lasciata all’abbandono e senza monaci, diventa nel 1589 la residenza del cappellano e dal 1637 al 1781 ospita messe pubbliche.

Cosa vedere all’Abbazia di San Vincenzo al Furlo
Una volta arrivato sarai catturato dal contrasto cromatico: il bianco latteo quasi acceso dell’Abbazia in contrasto con il verde intenso del paesaggio che la circonda.
La facciata della chiesa è a capanna; al centro si apre un portale con arco a tutto sesto e una lunetta traforata, sormontato da una monofora del XV secolo. La lunetta era affrescata e l’architrave, decorato con motivi fitomorfi, è sovrastato da un epistilio pertinente al tempio pagano.
La superficie della facciata ha solo qualche decoro, perchè agli ordini minori venivano date norme precise che imponevano dei limiti alle decorazioni scultoree delle chiese, per evitare lo sfarzo che cominciava ad apparire sempre di più in alcuni luoghi di culto.
La chiesa era orientata lungo l’asse canonico est-ovest per consentire la preghiera rivolta ad Oriente, sulla destra sorgeva il convento con l’annesso chiostro.

L’interno dell’Abbazia di San Vincenzo
All’interno dell’abbazia l’ambiente è sobrio, quasi spoglio e tutto è illuminato solo da piccole finestre che lasciando filtrare la luce in modo discreto. La sensazione immediata che si prova varcando la soglia è sentirsi piccoli perchè la struttura è molto slanciata.
Alle pareti si conservano affreschi quattrocenteschi della scuola umbro-marchigiana, alcuni dei quali sono ancora ben leggibili. In riquadri ben definiti da cornici, si trova ripetuta per due volte una Madonna con Bambino, San Vincenzo ed altri Santi tra i quali si riconoscono San Sebastiano, San Gregorio e San Rocco.
Certamente il dipinto più antico è la Madonna del latte col capo coronato, che sembra affacciarsi al centro di due tende scostate. Il pavimento è costituito da spesse lastre di pietra di epoca romana e paleocristiana. Il soffitto, scandito da tre costoloni, si presenta per due terzi a volta a crociera, mentre il restante è a capriata.
Il presbiterio, illuminato da una monofora archiacuta, è rialzato e raggiungibile con una scala centrale composta da 15 scalini; lungo le pareti è adorno di affreschi quattrocenteschi della scuola umbro-marchigiana, alcuni ancora ben leggibili. Salendo, la luce si fa immediatamente più forte ed intensa.
A destra del presbiterio, forse sopravvissuta all’incendio del 1246, resta un’abside più piccola, preceduta da un vano raccolto, forse adibito a sacrestia.

La cripta dell’abbazia di san Vincenzo al Furlo
Alla cripta, la parte più antica della chiesa, si scende attraverso due aperture poste ai lati della scala che porta al presbiterio: I’arco a tutto sesto di sinistra è romanico, quello di destra, ogivale, è gotico.
La cripta è sostenuta da sei colonne a fusto liscio, i capitelli sono decorati con motivi fitomorfi o tratti dai bestiari bizantini ma, scolpiti a bassorilievo e in modo stilizzato.
Al centro un altare-sarcofago che al suo interno accolse le reliquie di San Vincenzo. Attualmente appare aperto sul davanti e la lastra di marmo che lo copriva, sostituita da un altro piano del XVI secolo, ora giace in terra, di fronte all’altare, insieme ad altri reperti lapidei ed iscrizioni risalenti all’epoca romana.
Quest’ultima, riconducibile al secolo X, è tripartita da sei colonne di diverso diametro, con capitelli a tronco di piramide di varia fattura. Al suo interno si trova l’absidiola appartenuta alla navata laterale destra e ben visibile dall’esterno, posta accanto a quella principale.

Il ponte romano
Il ponte romano vicino all’Abbazia di San Vincenzo al Furlo è stato realizzato con la pietra del Furlo.
Si tratta di un viadotto di età repubblicana, che aveva lo scopo di riparare la Flaminia dalle repentine piene del fiume Candigliano e serviva anche a far defluire le acque provenienti dalle pendici del Pietralata, mediante due chiavicotti. Prima era solo un passaggio angusto scavato a mano, fatto aprire per volere del console Flaminio nel 217 a.C..
Dal 76 d.C., qui vicino sorge la galleria romana, lunga quasi quaranta metri e scavata nel cuore della roccia per volere dell’Imperatore Vespasiano. Adiacente alla Galleria del Furlo sorge la piccola chiesa di S. Maria delle Grazie, eretta alla fine del ‘400; ti racconto di più nell’articolo La Gola del Furlo.

Accomodamenti e dove mangiare
Abitando poco lontano da questa zona, non abbiamo ancora avuto il piacere di fermarci a dormire qui per un fine settimana.
Tra i vari alloggi disponibili La Locanda dell’Abbazia ha delle ottime recensioni; si tratta di un Bed & Breakfast ricavato nell’ex monastero benedettino del IX secolo. La locanda dell’Abbazia si trova sull’antica strada consolare Flaminia nei pressi della Gola del Furlo di Acqualagna.
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Informazioni utili e come raggiungere l’Abbazia
L’Abbazia di San Vincenzo al Furlo si può visitare gratuitamente ed è aperta tutto l’anno.
Venendo da Nord o Sud Italia, prendi la A14 ed esci al casello di Fano, imbocca la strada statale per Fossombrone e segui le indicazioni per la Gola del Furlo.
Una volta arrivato alla Riserva Naturale statale Gola del Furlo, puoi raggiungere l’abbazia in 5 minuti di macchina, seguendo le indicazioni per Pianacce.
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Fonti consultate: Marta Cangi, L’abbazia di S.Vincenzo in Petra Pertusa al Furlo, Cagli 2003 – C. Cerioni e T. di Carpegna Falconieri, I conventi degli ordini mendicanti nel Montefeltro medievale, Firenze 2012 – Anna Pia Giansanti, L’Abbazia di San Vincenzo al Furlo, maggio 2014 – wikipedia – i luoghi del silenzio – altre fonti